il Dio Nascosto

Il Dio nascosto
la spiritualità delle donne si esprime nella vita
di Adriana Valerio – Teologa, docente all’Università di Napoli.

 Molte storie legate alla tradizione popolare mettono in risalto un’immagine di Dio Padre lontana, o quanto meno assente, dai problemi che investono gli uomini e le donne nella loro vita quotidiana. Un Dio inconsapevole della condizione umana e perfino severo nei confronti di una umanità dolente.Gesù, al contrario, e soprattutto Maria, nella loro dimensione materna, accolgono tutti nelle loro braccia misericordiose.Credo che il nostro compito oggi sia di liberarci di quel Dio: delle immagini negative, violente, distruttive di Dio che pesano sulla nostra coscienza a causa di una cattiva interpretazione biblica e di tradizione teologica quanto mai oppressiva. Pensiamo alla Bibbia, scritta da uomini, in un contesto androcentrico, che prende forma a partire dall’esperienza di tribù che esprimono un Dio guerriero o Re-Signore che chiede sudditanza. Pensiamo alla teologia dellariparazione e della soddisfazione , che ci ha trasmesso l’idea di un Dio punitivo, severo, persino sanguinario: un Dio che esige il sacrificio del figlio per riparare l’offesa infinita (!) che l’umanità ha commesso … Dietro questi linguaggi c’è chiaramente una società maschile, patriarcale, che evidentemente non ha risolto nel profondo il rapporto con il “Dio – padre”, tanto da rappresentarlo come colui che giudica, punisce, e, addirittura, chiede la morte del figlio maschio.Il premio Nobel della letteratura, il portoghese José Saramago, nei suoi scritti spesso prende di mira la religione ebraico-cristiana per indicare l’assurdità di un Dio biblico presentato come sanguinario, malvagio, rancoroso, incapace di amare. Lo scrittore poeta ha combattuto con forza le false immagini di Dio, mettendo a nudo tutte le religioni che in suo nome hanno giustificato le cose più orrende e crudeli. Per questo dobbiamo essergli grati.

Come liberarci, allora, di certe immagini di Dio? Quale Dio ci può salvare? L’interesse di Dio è punire o salvare? si domanda la mistica inglese Julian da Norwich (1342-1416) riflettendo sulle tre persone della Trinità. La nostra salvezza (che è il raggiungimento della felicità) non corrisponde al sentirsi giudicati, ma piuttosto all’essere amati, accettati, perdonati. Per questo, non possiamo affidarci a un Dio Padre, giudice che punisce e condanna, ma a Gesù, nostra Madre, che, come una madre, non può consentire che un figlio-figlia si perda: nessun peccato può giustificare una pena infinita. Attraverso il volto femminile di Dio, l’inferno appare insostenibile.

La storia della spiritualità femminile ci offre spunti interessanti di modalità diverse di narrare Dio, nuove parole che orientano e aprono nuovi orizzonti di comunione fraterna. Penso al recupero da parte delle donne dello Spirito Santo, lo Spirito di Dio che chiama a libertà, che suscita vita. Di genere femminile nella cultura ebraica (ruah), diventa neutro nel passaggio alla lingua greca (pneuma), finisce maschile nella traduzione latina (spiritus) recuperata nella mistica femminile come l’espressione della libertà e della passione dell’amore (nella mistica femminile tedesca di genere femminile, (“die Minne”).Non potendo ripercorrere questo cammino, voglio invece soffermarmi su un racconto “esemplare” dell’Antico Testamento che oggi alcuni studiosi dicono essere stato scritto o ispirato da donne: il libro di Rut. il piccolo libro di Rut rappresenta una spiritualità e una tradizione femminile. E’ ambientato in un periodo che segue quello dei Giudici, segnato da grandi conflitti e violenze ed è stato scritto dopo l’esilio babilonese, quando i Giudici, tornanti in patria, sentono l’esigenza di costruire la propria identità intorno alla Legge e al Tempio. Ebbene, questo libro è in polemica con tutto ciò, ossia con la ricerca di un’identità per Israele intesa come purezza ed esclusività. In esso si racconta la storia di una famiglia, composta da una coppia, Elimelech e Noemi e due figli, sposati con due ragazze moabite, che da Betlemme – la città del pane – deve emigrare verso Moab, una terra straniera, perché nella città del pane c’è una carestia. Ebbene, questa famiglia ebraica trova ospitalità presso una terra che la Bibbia dichiara estranea alla salvezza e alla storia di Israele. A Moab, a Noemi muoiono il marito e i figli maschi e lei rimane vedova con le due nuore, anch’esse vedove. Ormai anziana non si può risposare e si lamenta con Dio perché sente l’abbandono e la solitudine. protesta, ma decide di dare una svolta alla sua vita: tornare a Betlemme. Dice, quindi, alle due nuore: “Andatevene, voi siete giovani, risposatevi”. Una delle due, Orpa, se ne va; l’altra, Rut, rimane: “Non ti lascio”, dice alla suocera, perché è legata a lei da un rapporto di solidarietà e di affetto profondo. Tornano insieme a Betlemme e Rut, per sopravvivere, va a spigolare, poiché in Israele c’è una legge che riconosce ai poveri il diritto di raccogliere le spighe che cadono nei campi. E va a spigolare nel campo di Booz, che è un parente lontano, che conosce la storia di Rut e Noemi ed è ben disposto nei suoi confronti, la guarda e la tratta con simpatia e spirito protettivo. Anche Noemi conosce Booz, e invita la nuora ad avvicinarsi a lui per costruire un futuro con quest’uomo che la può salvare. Quando finisce la mietitura, si fa una grande festa, si beve vino, Rut si fa bella, si ingioiella e, mentre lui dorme, si mette sotto la sua coperta, coricandosi ai suoi piedi, secondo il consiglio della suocera. Al risveglio Booz la trova vicina a sé e Rut gli chiede di sposarla per la Legge del levirato per la quale se una donna rimane vedova, il fratello del marito può sposarla per dare a questi una discendenza. In questo caso Booz non è un fratello del marito, ma Rut “piega” la Legge a favore suo, di donna, emarginata e senza futuro. Non solo, gli chiede in più di riscattare anche Noemi, comprando un terreno, poiché un’altra legge in difesa dei poveri (la Legge del riscatto) prevede che se un parente povero è nella miseria, quello ricco può comprare i suoi averi perché non muoia nella miseria.Dal matrimonio tra Rut e Booz nasce un figlio. Di chi è questo figlio? E’ il figlio di Rut e di Noemi, (il libro si chiude con due madri che tengono in braccio un bambino), perché queste donne, insieme, hanno creato vita attraverso rapporti di amicizia e di solidarietà; hanno ridato futuro a loro stesse. E chi è questo figlio? E’ l’antenato di David. David, quindi, discende da una straniera!Ecco allora il significato politico del libro di Rut: in un contesto storico in cui gli stranieri erano giudicati con sospetto e avversione (rendevano impuro il popolo), essi possono esser fonte di salvezza , dare vita; entrano nella storia della salvezza, poiché Rut è antenata di David. Rut e Noemi sono donne che, partendo da una condizione di sofferenza e di fragilità (vedove, povere), riescono a inserirsi in un circuito di vita. L’amore supera ogni differenza di razza, di costume, di tradizione.Ma dov’è Dio in questa storia? Qual è il suo volto? Dio non c’è, o meglio, è nascosto. Egli agisce attraverso gli atti d’amore dei suoi personaggi, le loro speranze, intenzioni e azioni; attraverso la rete di solidarietà che le donne sono riuscite a creare, oltre le consuetudini sociali e i doveri legali. I gesti di amore che gli esseri umani compiono trovano la loro origine e il loro fondamento nell’agire misericordioso di Dio. Da questo libro emergono, allora, alcuni elementi fondanti un’esperienza religiosa, che voglia caratterizzarsi per la passione del vivere: la passione della vita ; in questo racconto non c’è violenza, non c’è sopraffazione, non c’è dominio, la forza della vita trova piena affermazione. La destinazione della vita è la felicità , non la mortificazione. Queste donne vedevo non si fustigano, ma cercano la felicità, il benessere, una condizione di gioia. L’universalità dell’essere figli : queste donne costruiscono una storia di salvezza aperta a tutti: ai diversi, agli stranieri, persino a una moabita. I “giusti”, anche se stranieri, insegnano a Israele a riscoprire la propria differenza non come esclusione, ma come strumento di salvezza universale. Il “nemico” diventa parte della propria storia. La tenerezza : Rut non pensa a salvarsi da sola, ma riscatta la suocera, ha cura di questa donna anziana rimasta sola, perché capisce che attraverso la solidarietà, l’amicizia, l’affetto troverà
anche lei una soluzione di vita.L’apertura al futuro : Rut e Noemi non si sentono schiacciate dal presente doloroso, ma si mettono a lavoro per costruire un futuro di dignità. Il punto di vista delle donne : Rut e Noemi interpretano la Legge e la fanno propria, a difesa dei loro diritti, della vita da custodire, del futuro da realizzare.
Ora, se Dio è silenzio, abbiamo modo, donne e uomini, di dargli voce e volto nella passione che sostiene il senso del nostro vivere, nel silenzio parlante della nostra vita, nel condividere con gli altri, con la tenerezza che nasce dall’accettarsi reciprocamente.

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