Queste persone, attraverso laboratori di approfondimento sui temi della pace e dei diritti umani, la lettura del Vangelo, vogliono costruire percorsi di giustizia e di pace nei loro ambiti di vita quotidiana. Nella convinzione che la vita siauna chiamata alla responsabilità personale, all’impegno e alla realizzazione del Bene, la tenda della Pace offre a tutti uno spazio di confronto e di riflessione
articolo di Titti Malorni
La Tenda della Pace nasce nel 2003 a Caserta in seguito ad un’azione di alto impatto simbolico: l’incatenamento dei Comboniani davanti alla prefettura. Per un mese intero viene allestito nella piazza un gazebo (Tenda) che diventa un crocevia dove ferve la vita, dove passa la gente, dove si costruisce la storia” (don Tonino Bello) che fa incontrare tante persone di Caserta con due comunità religiose, le suore Orsoline di Casa Rut e i padri Sacramentini. Da questo incontro nasce un laboratorio aperto di approfondimento sui temi della Pace e dei Diritti Umani, alla luce della lettura e meditazione del Vangelo.
Quella prima esperienza ha, in qualche modo, definito la specificità della Tenda: i migranti “rifiuto” delle società opulente diventa una risorsa di crescita per una collettività, spesso indifferente e apatica anche nei confronti delle tante forme di sofferenza. Il nostro costante collegamento ai problemi della città ci ha portato a sviluppare una sensibilità particolare alla difesa del territorio, perché riteniamo che gli atti di violenza sull’ambiente siano le prime forme di ingiustizia sociale e di negazione dei diritti civili per le persone che vi abitano.
Questa attenzione al territorio non ci permette di rimanere indifferenti ed estranei all’emergenza rifiuti L’esperienza messa in atto a Caserta, se isolata dal contesto in cui è nata, può sembrare di scarsa novità; poiché nasce in un territorio dove la situazione è stata ed è complessa, mostra il suo aspetto dirompente rispetto a tante consuetudini consolidate. L’ultima emergenza rifiuti è stata quella che ha fatto esplodere il caso Campania a livello non solo nazionale ma mondiale. Io credo che l’essere stati esposti mediaticamente al giudizio di condanna del mondo intero sia stato quell’ “eccesso” che ha portato la gente comune ad una esasperazione tale da consentirle lo “strappo”con un ruolo storico stereotipato che la vuole poco educata a prendersi cura di sé e del contesto in cui vive, succube di una classe politica arrogante perché forte della sua rassegnazione e del suo fatalismo. Ma è stata rottura anche con uno schema di chiesa, vissuta esclusivamente come luogo di culto che da troppo tempo ha perso il rapporto educativo con la comunità.
Il 13 gennaio, in una città su cui aleggiava un senso di morte, da una domanda disperata di un’amica “possibile che non ci sia niente da fare” nasce una risposta corale: tre comunità parrocchiali di tre periferie della città decidono di attuare un’azione dirompente per la sua novità e mostrare alle Istituzioni che la raccolta differenziata si può fare: è la parrocchia che, come comunità di cittadini, mette in atto, secondo il principio di sussidiarietà un aiuto concreto alla popolazione che si trova in situazione di necessità, in quanto l’amministrazione che ha l’obbligo di adempiere ad un dovere istituzionale non si è dimostrata in grado di farlo.
In sole due settimane si organizza tutto: si prendono contatti operativi con le parrocchie, con la ditta di riciclaggio, si ottengono i permessi dal comune…il 27 gennaio, nei cortili delle tre parrocchie la ditta Erreplast, una Società Recupero Imballaggi che ricicla la plastica in una zona del territorio casertano più martoriato dalla presenza massiccia della camorra, Casal di Principe, paese di don Peppino Diana, aveva sistema dei grossi scarrabili per raccogliere differenziatamente molti materiali! Da subito ci è stato chiaro che la maggiore difficoltà che avremmo dovuto affrontare per stimolare la partecipazione popolare era vincere il senso di sfiducia, molto connaturato al cittadino medio campano, che considera le azioni dei cittadini come gocce d’acqua in un oceano e, quindi, incapaci di rimuovere gli ostacoli che si trovano di fronte, una sfiducia che aveva coagulato una partecipazione limitata verso altre forme di lotta già in atto. Programmiamo un approccio pedagogico, organizzando l’attività su due livelli paralleli: da un lato informare le persone che separare i rifiuti è necessario per ridurre l’enorme volume dei cumuli sulle strade, ma contemporaneamenteeducare tutti alla consapevolezza che il problema che stiamo vivendo è dovuto ad una nostra responsabilità personale e sociale confronti dell’ambiente. Questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un contatto diretto con la gente. Così sono nati i volontari della “monnezza”, un nutrito gruppo di persone che hanno presidiato i container per oltre 10 ore al giorno per incontrare le persone, ascoltare le loro proteste, spiegare come andava fatta la raccolta differenziata, far capire che in quel semplice gesto di consegna del sacchetto era custodita una risorsa, una nuova modalità di vivere la città. I container sarebbero solo freddi contenitori se non ci fossero i volontari che accolgono, informano e con la loro creatività riusano alcuni oggetti, creando uno spazio dell’usato dove ognuno può prendere quello che serve, recuperano libri , giocattoli da offrire ai tanti bambini rom che la domenica frequentano la parrocchia. Insomma il piazzale della parrocchia diventa un luogo ricco di vita, di incontri e relazioni autentiche perché hanno come fine un bene comune . L ‘ effetto cumulativo di gesti semplici ha un suo peso e i risultati lo dimostrano: in soli 60 giorni abbiamo tolto dalle strade ben 87540 Kg di rifiuti, solo nella nostra parrocchia, ben 141240 Kg nelle tre parrocchie della città. Contestualmente nasce anche la pubblicazione di un foglio parrocchiale dove ci proponiamo di scrivere settimanalmente riflessione sugli stili di vita, sobrietà, legalità per favorire il processo di consapevolezza e presa di responsabilità dei cittadini: in quel primo numero padre Pierangelo utilizza il salmo 50 “Il mio peccato mi sta sempre dinanzi” per indicare la necessità di un cambiamento di stile di vita. Il successo dell’iniziativa ha messo in luce il desiderio della gente comune di collaborare alla ripresa di questa nostra terra così martoriata
da anni di rapina del territorio, uno scatto di orgoglio e di appartenenza che è nuovo nelle nostre zone e si è risvegliato adesso, in questa situazione di estrema difficoltà!
La nostra esperienza non ha la pretesa di risolvere il problema, sappiamo bene che non è nelle nostre possibilità. Essa ha avuto, però, il merito di insegnare principalmente a ciascuno di noi la forza dell’azione dal basso e la pratica di una nuova forma di solidarietà verso la nostra terra e il nostro “prossimo”. È stata un’esperienza nata al di fuori delle strumentalizzazioni politiche che ha avuto la capacità di attivare altri processi virtuosi, come la scoperta di aziende che, sul territorio, lavorano in modo “pulito”, lontane dagli affari criminali della camorra e, per tale motivo, penalizzate a lavorare al 30% delle loro potenzialità, come la ditta che ci sta offrendo gratuitamente servizi, l’uso dei container e il trasporto del materiale. I proprietari della Erreplast hanno raccontato pubblicamente, rompendo un silenzio fatto di paura, che il loro impegno in questa iniziativa, è il prezzo per riscattare questo territorio dalla schiavitù della camorra che 10 anni fa ha ucciso il loro padre che si opponeva al pagamento della tangente. Un altro aspetto processo virtuoso è la sinergia tra varie realtà che si sono compattate intorno all’iniziativa di raccolta differenziata: Tenda della Pace, comitato Città Viva, Associazioni ambientaliste, Confagricoltori, cooperativa sociale Newhope. Si è capito che si sta lavorando ad un progetto di svolta della comunità e nascono belle collaborazioni, come quello con la cooperativa sociale “Newhope”, un laboratorio di sartoria etnica nato per restituire, attraverso il lavoro, dignità a tante donne migranti vittime di violenza e sfruttamento, considerate “rifiuti della società” . La cooperativa ha avviato il progetto “Una borsa formato SPERANZA”, realizzando una borsa di tela per la spesa da usare al posto dei sacchetti di plastica. In questo piccolo oggetto è racchiuso un grande segno di speranza: che siano proprio i semplici gesti quotidiani, come quello di eliminare i sacchetti di plastica, a diventare il simbolo di un nuovo mondo, in cui esistano sempre meno rifiuti e sempre più risorse.
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