Giornata Mondiale del Rifugiato
Venerdì 20 giugno si è celebrata la Giornata mondiale del Rifugiato, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in occasione delle celebrazioni dei 50 anni dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951.
Ricche le iniziative a Caserta promosse dal centro sociale Ex Canapificio e il Movimento dei Migranti e Rifugiati di Caserta sulle tematiche del diritto di asilo e sulla tutela internazionale del rifugiati, in collaborazione con la Seconda Università degli Studi di Napoli Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet”, il Sistema di protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), il Consiglio Italiano per i Rifugiati( CIR), la Caritas italiana e una rete di associazioni che lavorano attivamente sul territorio al fianco dei migranti.
martedì 17 convegno/seminario dal titolo “Se l’asilo è un diritto perché sopravvivere è un lusso?”, che si svolgerà a partire dalle 9.30 presso il Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet” (aula 3) alla presenza del Dipartimento di Scienze Politiche Gian Maria Piccinelli, del presidente dell’Ordine degli avvocati del Foro di Santa Maria Capua Vetere, del vescovo Mons. Giovanni D’Alise e delle autorità locali
Venerdì 20 al Centro sociale Ex Canapificio serata di “Musica e Arte per il diritto di Asilo” con esposizione della mostra “Abbiamo bisogno di loro” e dibattito con l’artista Vincenzo Elefante, docente di pittura dell’Accademia delle Belle Arti di Roma, Street Art a cura degli alunni del Liceo Artistico Statale di San Leucio, mercatini del riciclo e dell’artigianato, stand di sartoria etnica della cooperativa sociale NeWhope e degustazione di piatti tipici africani.
Vivere da migranti di Gabriela Lio
Oscar Romero, il 30 ottobre 1977, pronunciò queste parole: «Oltre alla lettura della Bibbia, che è Parola di Dio, un cristiano deve leggere anche i segni dei tempi, per illuminarli con questa Parola». Il mio sarà un tentativo di ascoltare il cammino del popolo di Dio attraverso la lettura della Bibbia e dei segni dei tempi.
Affamato/a nella sua terra natale, assetato/a nel deserto che cerca di attraversare. Ignudo/a dopo essere stato derubato/a d’ogni cosa. Mandato/a nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) o nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), malato/a negli ospedali e, se riesce ad arrivare a destinazione, spesso alienato/a, emarginato/a, disprezzato/a. Come Agar, con suo figlio Ismaele nelle braccia, che fu cacciata dalla sua casa nell’arido deserto e abbandonata fino a morire. Come gli israeliti, costretti al lavoro in terra di Egitto senza tregua e sempre meno accettati e più oppressi giorno dopo giorno. Come Giuseppe e Maria, senza un luogo decente in cui dare alla luce il figlio di Dio, costretti a cercare riparo in una mangiatoia perché non c’era posto per loro in albergo. Come i piccoli perseguitati e assassinati dal re Erode, per la paura, la pazzia, l’odio e la violenza di chi ha il potere e teme di perderlo.
Le migrazioni di oggi sono il dramma più doloroso del nostro tempo. Accelerate da ristrutturazioni territoriali ed economiche del capitalismo globalizzato, offrono uno scenario di spostamento umano segnato da barriere e muri, da violenza e intolleranza, che invece non riguardano il massiccio spostamento di capitale finanziario, di merci e di turismo. I governi stanno sfruttando la crisi economica e la disoccupazione che questa produce per indurire le politiche di migrazione, allo scopo di stabilire meccanismi di controllo e regolarizzazione dei flussi, adeguandoli al mercato del lavoro, semplicemente per i propri profitti.
Le persone che migrano, però, non si trovano di fronte soltanto all’inasprimento delle politiche migratorie, ma anche a crocevia turbolenti fra sicurezza nazionale e sicurezza umana, fra diritti di sovranità nazionali e diritti umani, fra leggi civili e leggi naturali. Una realtà che non è soltanto una questione sociale, politica o economica, ma è soprattutto un interrogativo profondo, che esige una chiave d’interpretazione per comprendere cosa significa per noi, oggi, essere nel mondo a partire dai segni di questo tempo: migrazione, movimento, esodo ed esilio.
Le scritture ci raccontano un’umanità frammentata, una terra segnata da discordia e disordine umano, un territorio segnato dalla morte, da umiliazione, atrocità, violenza e distruzione. In questi racconti appare un’identità del popolo di Dio intimamente intrecciata a storie di rischio, ospitalità e movimento, in cui il grido degli oppressi è ascoltato da Dio e in cui Dio esorta singoli e popolo a reagire e co-rispondere. E la presenza continua di Dio-parola – “dabarim” – fa nascere fiducia, cambiamento, voglia di riscrivere la storia insieme a Dio, interpretando e abbracciando “i segni dei tempi”, ciò che Michea chiamerà “camminare con il tuo Dio”.
È un popolo che, dalla sua formazione, si è considerato pellegrino in questa terra, ospite e forestiero, e che è convocato a confessare la sua fede ricordando, di generazione in generazione, le origini dei suoi progenitori e il cammino da loro intrapreso: «Mio padre era un arameo errante». Di generazione in generazione, dovrà ricordare che il grido d’oppressione di Abramo è stato ascoltato da Dio e che Dio lo ha spronato a reagire, a uscire da una situazione d’ingiustizia e a ricercare una comunità nella giustizia. È l’inizio di un lungo cammino nella fede, sotto la guida della grande utopia divina, dei propositi di Dio per l’umanità intera; cercando nuovi orizzonti, senza sapere dove andare, con un senso di provvisorietà il cui simbolo è la tenda montata da Abramo e Sara ogni notte, lungo il cammino, sorretti dalla promessa di Dio, che aveva dato loro l’audacia di credere nell’impossibile. E nel cammino che va dall’esodo in Egitto al pellegrinaggio d’Israele nel deserto, Dio ha continuato a dire le stesse parole ai profeti, che essi avevano custodito nei loro cuori con passione e speranza. E così continua a dirle in Gesù, chiamato figlio di Dio, la parola di Dio che si fa carne, Dio che migra verso un mondo povero e diviso, che sperimenta l’esilio, che sperimenta il dolore, il rifiuto e l’alienazione. Che migra per continuare a manifestare la speranza, per riaffermare la dignità umana che è la dabarim di Dio.
OLTRE OGNI FRONTIERA
In Cristo, Dio ridisegna la storia; supera ogni tipo di frontiera, come cerca di dirci con la parabola del Buon Samaritano; parla ancora e invita ancora a vivere come pellegrini su questa terra, a cercare il regno e la sua giustizia. Un regno che non è delimitato da confini geografici o politici, bensì dalla gratuità dell’iniziativa divina, dall’apertura del cuore e dalla reciprocità. Un regno che suscita una visione diversa del mondo, dove i primi sono gli ultimi e dove i criteri di valutazione sono rovesciati. Un regno che non è un territorio inamovibile ma una terra che può mutare. Un regno che invita a pensare che la sua comunità sia fatta da esiliati, pellegrini e forestieri in cammino verso il regno di Dio, e che sollecita a entrare nei luoghi oscuri e abbandonati della condizione umana, anche quando le frontiere si chiudono, semplicemente perché nel regno nessuno e nessuna è fuori dall’abbraccio divino.
Migrazione, movimento, esodo ed esilio non sono semplicemente una chiave ermeneutica per capire il movimento di Dio verso l’umanità, bensì attendono una risposta umana, una vocazione continua, un appello davanti al dramma di questo secolo. Appello a non idolatrare né lo Stato, né la religione, né le ideologie usate come forza per escludere e alienare, perché, oggi come ieri, Gesù cammina insieme a noi nel superamento e capovolgimento delle frontiere umane. E ciò perché chi oggi attraversa le frontiere senza una documentazione appropriata non sta semplicemente infrangendo una legge civile ma sta obbedendo alla legge della natura umana, come avviene con il diritto di mangiare, di avere cura della propria famiglia, di lavorare e di proteggere la propria vita.
Questa coscienza evangelica è tale perché abbiamo fede in colui che migrò dal cielo alla terra e che, mediante la sua morte e risurrezione, passò dalla morte alla vita. E soprattutto perché limitare la compassione alle frontiere della nostra nazionalità o della nostra famiglia ci allontana dalla riconciliazione e ci conduce alla disgregazione. Siamo chiamati/e a vivere da forestieri/e e da migranti, cercando e manifestando il regno di Dio, vedendo nell’altro/a l’immagine di Dio e la nostra immagine, vivendo la solidarietà umana e dispensando speranza divina, partecipando alla sua azione liberatrice, consapevoli che Dio non ci abbandona né lascia senza sostegno chi lo segue. Perché il modo in cui le persone attraversano le frontiere in questa vita determina la qualità con cui attraverseranno le altre, e ciò è indispensabile per la creazione di una società più giusta ed è il cuore della missione della Chiesa. Vivere così è vivere la risurrezione, è vivere a partire da una vita in cui la croce non può crocifiggere. Cercare il Regno è per-seguire il suo cammino, pro-seguire le sue cause, con-seguire la sua vittoria. «I popoli migrano, la memoria migra, Dio anche, per l’amorosa urgenza della vita!» (Pablo Neruda, Oda a la migracion de los pajaros).
Commenti recenti