Campo delle mille e una speranza - Via Crucis alla Caserma Andolfato

Campo delle mille e una speranza – Via Crucis alla Caserma Andolfato

DSCN0471

“Un muro alto oltre 5 metri, con sopra cocci di vetro che per farsi maggiormente notare luccicavano al sole (come una grande corona di spine) circondava la caserma” Sr Rita Giaretta

Lunedì, 18 aprile, altri 220 tunisini sono giunti al campo-tendopoli… loro, probabilmente, sono arrivati a Lampedusa dopo il 5 aprile. Una data, questa, che ha il potere di determinare se sarai accolto o escluso. Per tutti loro un’attesa carica di timore. Giorni pesanti da reggere. Nell’incertezza e nella paura continui i tentativi di fuga. Brande legate tra di loro e appoggiate alle mura, poi il salto… e per alcuni il ricovero in ospedale. Dopo alcuni giorni ogni speranza s’infrange contro quel muro. Dalla Prefettura di Caserta riceviamo la notizia-conferma che – con un’ordinanza ministeriale, piovuta improvvisa dall’“alto”, il campo-tendopoli è stato trasformato in un Cie – centro di identificazione di espulsione.

Una vergogna e un dramma!

Eravamo nel campo quel venerdì mattina, venerdì Santo. Con noi anche don Antonello Giannotti, Direttore della Caritas Diocesana di Caserta. Alcuni operatori della Croce Rossa ci comunicavano il disperato grido di questi ragazzi: “ è meglio morire qui che essere rimpatriati! ” Era un grido possente che trafiggeva l’anima. Da parte delle Forze dell’Ordine, riceviamo un‘cortese’ invito ad uscire. Per gli operatori Caritas e per i rappresentanti di varie associazioni, da giorni impegnati con zelo e abnegazione in un’assistenza caritativa e legale dei migranti, improvvisamente non era più valida l’autorizzazione ad entrare nel campo. All’entrata della caserma Andolfato un automezzo dei vigili del Fuoco stava alzando un braccio meccanico, mentre due vigili toglievano le bandiere della Croce Rossa. Erano rimaste solo l’insegna “Ministero dell’Interno” e a lato la bandiera dell’Italia. Quel gesto stava ad indicare che da quel momento il campo passava sotto una ‘regia militare’. In noi sconcerto, dolore e forte contrarietà. Quel luogo, a causa di scelte scellerate e disumane, stava diventando un nuovo Golgota. Un gesto-simbolo ecclesiale diventava necessario e urgente. Una Via Crucis lungo le mura-recinto della caserma Andolfato per testimoniare la nostra solidarietà con i circa 230 tunisini rinchiusi nei ‘nuovi campi di concentramento’, in attesa di rimpatrio forzato; per dire che fare Pasqua è scegliere di stare sempre dalla parte dell’uomo crocifisso. Poche ore per coinvolgere sacerdoti e fedeli. Una croce posizionata davanti alla Caserma. Accanto un grande striscione che recita: “ Non c’è differenza tra il Cristo crocifisso e questi nostri fratelli ”.

guarda il video

Il Racconto di Sr Rita Giaretta

DSCN0467“Stanno per arrivare a Caserta, da Lampedusa, mille tunisini!”. Con queste parole il Questore di Caserta, Guido Longo, ci ha accolti nel suo ufficio, la domenica mattina del 3 aprile, dopo che lo stesso ci ha convocati di urgenza (sr. Rita G. della Comunità Rut delle Suore Orsoline e p. Giorgio Ghezzi, della Comunità Zaccheo dei p. Sacramentini) per comunicarci la notizia e per chiedere la nostra presenza l’indomani, giorno di arrivo al campo del primo gruppo – 470 tunisini.
Quel lunedì mattina c’eravamo a S. Maria Capua Vetere, nell’ex Caserma Andolfato, tempestivamente allestita e attrezzata a campo-tendopoli di accoglienza e di identificazione.L’impatto è stato duro.Ho vissuto un momento di turbamento come se avessi ricevuto ‘un pugno nello stomaco’. Un muro alto oltre 5 metri, con sopra cocci di vetro che per farsi maggiormente notare luccicavano al sole (come una grande corona di spine) circondava la caserma. Massiccia la presenza di forze dell’ordine e numeroso il personale della Croce Rossa ai quali era stato dato l’incarico di gestire il campo. Sembrava una struttura fortificata.Prima dell’arrivo dei migranti una visita alla tendopoli, a sua volta recintata, posta all’interno della grande area della caserma e il cui accesso era possibile attraverso un grande cancello costantemente sorvegliato dalle forze dell’ordine. Molti poliziotti erano da noi conosciuti per cui era facile scambiarci delle battute e anche spingerci a considerazioni su quanto stava avvenendo. Lo sforzo organizzativo nell’allestire la tendopoli era stato grande: un buon numero di bagni con docce, spazi tende adibiti a mense, circa 130 tende con 8 brande ciascuna e ben sistemate, 4 tende per il personale medico, una grande tenda aperta al centro del campo come luogo di ritrovo e dove poter trovare un po’ di refrigerio essendo il campo tutto al sole, senza piante, nemmeno un filo d’erba.Lo stesso dicasi per il personale dell’Ufficio immigrazione della Questura di Caserta. Un grande lavoro per organizzare al meglio e celermente quanto era necessario per espletare le pratiche relative all’identificazione.Verso le 10 l’arrivo dei primi pullman all’interno della grande Caserma. Un pullman si ferma davanti al cancello di entrata del recinto. Il tempo necessario per far scendere una ad una le persone, un’accurata perquisizione da parte di alcuni poliziotti e poi, come accompagnati da un cordone delle Forze dell’Ordine, l’attraversamento del cancello che rinchiudeva dentro quel luogo assolato e recintato sogni, speranze, delusioni, fatiche e sofferenze di questi uomini. Li guardavo ad uno ad uno e cercavo, come una sete dell’anima, di incontrare i loro sguardi. Sentivo il bisogno struggente di donare a ciascuno un sorriso, quasi a chiedere scusa di quanto stava accadendo. Forse era semplicemente la voglia di dire loro che c’è ancora cuore, c’è ancora umanità nella mia Italia. Non so se era un’illusione! “Salaam malikum”! – Dio ti benedica – dicevo ad ognuno che mi passava accanto, portandomi la mano al petto (è il loro saluto musulmano e il loro gesto). Quel saluto donato aveva la forza di sgelare i loro cuori feriti. “Malikum salaam”, con la mano al petto, ci rispondevano incrociando i nostri sguardi con l’accenno di un sorriso di speranza. Che sussulto di gioia nel mio cuore! Ho capito che in quel momento ero io che mi sentivo mendicante del loro sorriso, del loro amore. Erano tutti giovani, alcuni sembravano dei ragazzini. Sguardi smarriti, volti provati e corpi stremati.Dai primi racconti, quanto vissuto a Lampedusa, era una ferita ancora aperta. Notti passate all’aperto, mancanza più totale dei servizi minimi, e sulla pelle il fiato di un clima di ostilità e di rifiuto. Certo non si aspettavano di essere accolti in quel modo. Due giorni dopo, mercoledì 6 aprile, l’arrivo di altri pullman con 531 migranti, sempre tunisini.

DSCN0454

l’arcobaleno della pace ‘invade’ il campo

DSCN0461Il campo di S. Maria Capua Vetere da quel giorno diventava per noi il ‘campo delle mille e una speranze’.
Ogni giorno, p. Giorgio ed io, entravamo in quel recinto per esserci e stare con loro. Si comunicava come si poteva: in francese, ma anche in inglese e con qualche parola di italiano che qualcuno si era portato in dote da casa. E poi con gli sguardi, con gesti, con strette di mano. Alla vista della croce, segno del mio essere donna consacrata, erano in molti a prenderla e a stringerla tra le mani. Che bello vedere e sentire che Dio è il Dio di tutti! Di quei ragazzi ne abbiamo trovati molti con un livello
di istruzione superiore e anche con lauree.
Bravi ragazzi! Di quei criminali di cui alcuni hanno parlato agitando lo spauracchio dell’evaso non ne abbiamo visti. Molti avevano voglia di parlare, di raccontare, perché quello che stavano vivendo era forse il momento più importante della loro esistenza. Ci raccontavano dei barconi, del mare assassino, dei caporali, della pericolosissima traversata, dei sogni che hanno cullato i giorni della disperazione. Giovani in fuga dalla miseria, dalla fame, da una situazione di grande incertezza e di tensione. Ognuno di loro aveva il suo riferimento, un indirizzo stampato nella testa: chiedevano di poter raggiungere parenti e conoscenti che si trovano al Nord o, più spesso, all’estero, soprattutto in Francia, in Germania, in Belgio.Non sono mancati momenti di tensione nel campo. Così pure qualche tentativo di fuga, scavalcando il grande muro di recinzione, finiti sempre con rotture di gambe o serie contusioni e lacerazioni ad arti. Tutti eravamo convinti, anche le stesse Forze dell’ordine, che quel luogo, nonostante il grande lavoro fatto e che continuavano a fare per renderlo il più possibile umano, era in realtà uno spazio invivibile e disumano. Era un luogo non degno per accogliere degli esseri umani. Per quei mille e uno ragazzi, quell’umanità dolente che veniva dalle coste africane, si è profilata una sponda possibile per un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari.In pochi giorni, ‘quel campo di fatiche e passioni, quel luogo chiuso e immobile, dove cammini abitati da un sogno muto e possente sono capaci di muovere la storia, e nella notte, forzare l’aurora’, si è aperto quasi a dire che nessuno può fermare il cammino della speranza.Buon cammino a te fratello Abdel. Nel campo ti chiamavamo uomo di Dio (traduzione del tuo nome arabo). Il tuo progetto raggiungere la Francia. Noi speriamo che i tuoi passi stiano ora baciando quella terra…Buon cammino a te Montassar. Da noi ‘adottato’ quand’eri ancora nel campo. Ora vivi a Caserta, nella casa dei p. Sacramentini, insieme a p. Giorgio. Una speranza abita i tuoi occhi che ora possono guardare lontano: imparare l’italiano e poi trovare un lavoro come cameriere avendo in Tunisia fatto la scuola alberghiera. Nel tuo Paese, prima di imbarcarti sul gommone per approdare in Italia, lavoravi in un ristorante poi assaltato e incendiato durante la rivolta di febbraio contro il regime di Ben Alì. E buona fortuna a tutti voi, amici e fratelli tunisini. Salaam malikum! Che Dio vi benedica.